giovedì 24 febbraio 2011

Elogio della follia_Erasmo da Rotterdam

L'INFANZIA E LA VECCHIAIA SONO FOLLIA


Tanto per cominciare, chi non sa che la prima età dell'uomo è per tutti, e di gran lunga, la più lieta e gradevole? Che cosa hanno i bambini da indurci a baciarli, abbracciarli, accarezzarli, per cui persino il nemico presta loro soccorso? Che cosa se non la grazia che viene dalla mancanza di senno, quella grazia che la saggia natura attribuisce ai neonati affinché con una sorta di piacevole compenso possano addolcire le fatiche di chi li educa e cattivarsi la simpatia di chi li protegge? E l'adolescenza che segue l'infanzia, quanto è gradita a tutti, quale trasporto sincero suscita, quali amorevoli cure riceve, con quanto rispetto le tendono le mani per aiutarla! ma ditemi, donde viene questo fascino della giovinezza? Donde, se non da me? E' merito mio se i giovani hanno ben poco giudizio per cui ben poco si rodono.
Mento, forse? Ma se appena sono un po' cresciuti, e con l'esperienza e l'istruzione cominciano ad acquistare senno quasi d' uomini, subito sfiorisce la loro bellezza, s'illanguidisce la loro vivacità, l'attrazione si raggela, viene meno il loro vigore. Quanto più si allontanano da me, sempre meno la giovinezza vive, finché non sopraggiunge la molesta vecchiaia, odiosa non solo agli altri, ma anche a se stessa. Nessuno dei mortali riuscirebbe a tollerarla, se, ancora una volta, non m'impietosissi di tanta miseria e non venissi in suo aiuto; se, come gli dèi dei poeti di solito soccorrono con qualche metamorfosi chi è sul punto di morire, così anch'io, per quanto è possibile, non riportassi all'infanzia quanti sono prossimi al feretro, donde l'abitudine del volgo di dirli, non senza fondamento, tornati all'infanzia. Se poi qualcuno vuol sapere come opero questa trasformazione, non lo celerò certamente. 
Io li conduco alla fonte della mia ninfa Lete, che sgorga nelle Isole Fortunate- il Lete che scorre agli Inferi è solo un sottile rigagnolo. Lì, appena hanno bevuto a grandi sorsi le acque dell'oblio, un poco alla volta, le preoccupazioni si dissolvono e tornano bambini.
Ma, si dice, che essi delirano ormai, non ragionano più! Certo, ma proprio questo significa tornare all'infanzia. Che altro è l'infanzia se non sragionare e non avere senno? Non è l'ignoranza totale che più piace di quell'età? Chio non desterebbe ed esecrerebbe come mostruoso un bambino con la saggezza di un uomo? Lo conferma anche un diffuso proverbio: "Odio un bambino di precoce saggezza". E chi, d'altra parte, sopporterebbe di avere rapporti e legami di familiarità con un vecchio che alla sua lunga esperienza di vita unisse eguale vigore d'animo e eguale acutezza di giudizio?
Così il vecchio delira grazie a me. E tuttavia questo mio vecchio delirante è libero dalle preoccupazioni penose che tormentano il saggio; quando si tratta di bere, è un allegro compagno, non avverte il tedio della vita, che l'età più vigorosa sopporta a fatica. Talvolta, come il vecchio di Plauto, ritorna alle tre famose lettere, grande infelicità se fosse in senno. Invece, grazie a me, è felice, simpatico agli amici, piacevole compagno di baldorie. Anche in Omero, dalla bocca di Nestore scorrono discorsi più dolci del miele, mentre amare sono le parole di Achille; e, sempre in Omero, i vecchi seduti insieme sulle mura si esprimono con parole fiorite. In questo senso, sono superiori alla stessa fanciullezza, che è certamente deliziosa, ma priva della parola e manca del principale diletto della vita, la chiacchiera. Aggiungete che ai vecchi piacciono moltissimo i bambini, ed a loro volta i bambini si divertono con i vecchi, poiché sempre il dio accoppia il simile con il simile. In che differiscono, infatti, se non nelle rughe e negli anni che nel vecchio sono di più? Per il resto, biancore dei capelli, bocca sdentata, corporatura minuta, desiderio di latte, balbuzie, loquacità, frivolezza, smemorataggine, sconsideratezza, in breve, tutto il resto concorda. Quanto più gli uomini invecchiano, tanto più somigliano ai bambini, finché, come i bambini, senza il tedio della vita, senza la percezione della morte, abbandonano la vita.


Tratto da "Elogio della follia"

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